“BREVE CENNO SU TURGHÈNIEF”
Come Flaubert in Francia, Ivan Serghèievitsc Turghènief è, in Russia, il capo della scuola naturalista.
Nato in Orel nel 1818 Turghènief studiò dapprima a Mosca, poi a Pietroburgo, e, nel 1843, andò all’Università di Berlino per terminarvi i suoi studi filologici.
Di ritorno in patria, Turghènief esordì con alcune commedie, oggi completamente dimenticate, benché fossero state allora lodate dal celebre critico russo, Bièlinski. Ma i suoi «Ricordi di un calciatore» lo resero ad un tratto celebre, perché è in questo libro che cominciò a combattere contro la schiavitù dei contadini russi, e particolarmente perché tutta l’opera esala profumo vero e penetrante della vita russa. Per la prima volta, forse, i signori si accorsero che il mugik era un uomo come tutti gli altri, che aveva un’anima capace di sentire e di soffrire, di odiare.
Dopo aver così mantenuto ciò che egli stesso chiamava il suo «giuramento di Annibale», cioè di fare il possibile per riuscire all’abolizione del servaggio dei contadini, Turghènief si mise a descrivere la situazione morale dei suoi contemporanei E lo fece con una evidenza rara, una fedeltà singolare, un’imparzialità voluta, tutto conseguenza della perspicacia straordinaria con la quale sapeva indovinare, osservare e studiare i nuovi bisogni e le idee nuove.
Così nel suo «Rùdin» traccia il ritratto degli uomini «inutili» che, pieni di entusiasmo e di ardore, si contentano di parlare senza poter mai agire. Così nel «Nido di gentiluomini» dipinge il tipo dell’uomo che lotta contro la fatalità che pesa sulla sua vita e che non trova l’energia necessaria per spezzare i legami che lo avvincono per rifarsi una nuova vita. Così nei « Padri e figli » mostra i meriti ed i difetti, i pregi e le debolezze di due generazioni che s’incontrano sulla soglia di un’epoca nuova, e ci presenta per la prima volta, in persona del Bazarof, il «nihilista», termine che prese più tardi un altro significato, ben più terribile.
Le altre opere di Turghènief sono le «Apparizioni», un vero gioiello di fantasia; le «Storie strane», che si distinguono per la stranezza dei personaggi e per la bizzarrìa delle loro avventure; «Fumo», quadro animatissimo di un gruppo di giovani «progressisti» russi, riuniti a Baden-Baden; i poemi in prosa, così pieni di profondità di pensiero e di intensità di sentimento, e scritti in una lingua, come nessuno, né prima né dopo di lui, ha saputo maneggiare in modo così perfetto; parecchie novelle, le migliori delle quali sono: «Faust», «Mumù», «La mummia vivente», «Chiara Militsc», Il canto dell’amore trionfale», ed il romanzo «Acque di primavera» che presentiamo oggi al pubblico italiano.
Quest’ultimo non è il più celebre, né il più forte degli iscritti del nostro Autore; ma è, secondo noi, il più fresco, il più geniale, il più «romanzesco» se possiamo esprimerci così.
È un idillio, fresco come la primavera, tra una bellissima giovanetta italiana ed un giovane viaggiatore russo che si incontrano per caso in una città tedesca. I caratteri dei due protagonisti e delle persone che li circondano sono descritti da mano maestra e con un humour speciale, una nota satirica genialissima ed un brio che non si smentisce mai, particolarmente quando l’autore mette in contrasto l’ardore meridionale con la compostezza e la pedanteria dei tedeschi.
Mai Turghènief ha avuto la fantasia più spigliata, l’invenzione più spontanea, la penna più svelta, la mano più felice nella scelta del soggetto, nella dipintura dei caratteri, nella leggerezza delle descrizioni, nell’intreccio e nell’esposizione dell’insieme.
Sarebbe difficile, credo, di trovare un altro libro a cui si potesse applicare con maggior giustizia la frase che un critico inglese scrisse per un genialissimo romanzo del suo paese - meno casto però del nostro: «pare un libro scritto da una vergine con una penna presa dall’ala d’un angelo.»
E. W. Foulques