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LUIGI, ALDO E PAOLO LUBRANO

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DOMENICO CONFUORTO - Giornali di Napoli - Due volumi - DAL 1679 AL 1691.

2023-05-13 12:14

Paolo

Luigi Lubrano, Pubblicazioni, Paolo Lubrano, Blog Personale,

DOMENICO CONFUORTO - Giornali di Napoli - Due volumi - DAL 1679 AL 1691.

La trascrizione della "Prefazione" a "Giornali di Napoli" presentata dal curatore Nicola Nicolini. I          Di un dottor Domenico di Conforto, di pr

La trascrizione della "Prefazione" a "Giornali di Napoli" presentata dal curatore Nicola Nicolini.

I

 

         Di un dottor Domenico di Conforto, di professione notaio, si serbano, nell’Archivio notarile di Napoli, i protocolli, comprendenti gli anni dal 1636 al 1674. — Nel 1692 fu pubblicata a Napoli, senza indicazione di luogo e di anno, una Critica di un Roberto Lanza a due principali luoghi dell’Istoria della famiglia Carafa composta dal regio consigliere Biagio Altomari; il qual Roberto Lanza, com’è detto nel frontispizio di un’Emendazione di quella Critica, pubblicata nello stesso anno dall’Altomari o Aldimari, sarebbe stato al secolo un Domenico di Conforto. — In più d’ una biblioteca napoletana si serbano copie manoscritte di certe Notizie d’alcune famiglie popolari della città e Regno di Napoli divenute per dignità e ricchezze riguardevoli1: notizie messe insieme nel 1695 da uno pseudo “Fortundio Erodoto Montecco”, anagramma purissimo, come si diceva allora, di un “dottore Domenico Confuorto”. — Dal 1679 al 1699 un dottor Domenico Conforto o, alla napoletana, Confuorto, venne scrivendo i Giornali delle cose successe in Napoli, che vedono ora la luce per la prima volta. — Nel 1701, dalla stamperia napoletana di Domenico Gramignani, usci postumo il quarto volume dei Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli di Carlo de Lellis, curato da un Domenico Conforto, che vi aggiunse di suo una serie di annotazioni, ove sovente afferma. il contrario del testo e sopra tutto un Supplemento di altri [diciotto] discorsi genealogici di famiglie nobili della città e Regno di Napoli. — E finalmente nel 1736 fu pubblicato a Bologna un volume di 180 pagine in—4°, col titolo: Della famiglia Ceva, descritta in Genova nell’albergo Grimaldi, Discorso genealogico del dott. Domenico di Confuo-

 

 

              1 Per esempio, nella Società. napoletana di storia patria: cod. segn. XX. B. 28, di pp. 182 numerate da un sol verso; — cod. segn. XXXII. D. 14, di pp. 220 numerate da un sol verso, con correzioni; — cod. segn. XXIV. D. 22. — Altre due copie, che si trovavano nella Biblioteca di San Martino e furono descritte dal PADIGLIONE, La Biblioteca del Museo nazionale nella Certosa di S. Martino in Napoli (Napoli, Giannini, 1876), p. 289 sg., sono ora nella Nazionale. — Un’altra ancora è posseduta da B. Croce.


X

 

rto, continuato fino ai nostri giorni: il qual Discorso, quantunque l’anonimo continuatore non curasse di avvertire in qual punto avesse termine la fatica del di Confuorto e principio la sua, si può esser sicuri non fosse cominciato a preparare dal Di Confuorto prima del 1713, data di un Supplemento dl Matteo Egizio ad un Memoriale cronologico di un G. Marulli, citato fin dalla pagina 13.

         Ciò premesso, tutti codesti Domenico de Conforto, Conforto, Confuorto e di Confuorto, sono, per avventura, una persona sola? Cosi parve al Padiglione1 (a cui per altro, restò ignoto il Di Confuorto del libro sui Ceva Grimaldi2), e, dopo di lui, la cosa è stata asserita certa. 

Ma che sia invece dubbia, molto dubbia, anzi parzialmente impossibile, apparirà a chiunque rifletta che, ammettendola, bisognerebbe concedere altresì che l’autore dei Giornali nascesse intorno al 1610, se non anche in epoca anteriore; che non prima dei venticinque o ventisei anni imprendesse l’esercizio del notariato; che sui sessantacinque cedesse lo studio notarile; che dai settanta ai novanta, invece di volgere la mente ai casti pensieri della tomba, vivesse una vita del tutto diversa, dandosi a fare, con battagliera alacrità, l’avvocato, il polemista e il giornalista; e per ultimo che dai novanta ai cento e più occupasse codeste horae subsicivae, consacrandosi a lavori genealogici. È una longevità giovanile, di cui non mancano al certo esempi (ricordare quello, classico, di Leopoldo Ranke); ma che, per quanto concerne l’autore dei Giornali, non è suffragata da altra prova o, meglio, presunzione, che da quella, labilissima, dell’identità d’un nome e d’un cognome quanto mai comuni a Napoli.

         Con che, naturalmente, non si vuol dire, cadendo nell’eccesso opposto, che nella Napoli del Seicento e dei primi anni del Settecento si susseguissero a dozzine i dottori Domenico Conforto, rientranti per un verso o per l’altro nel campo della storia della storiografia. Anzi che l’autore dei Giornali e quello delle Famiglie popolari siano una persona sola è cosa certa, perché il primo, discorrendo più d’un volta3 dei Caputo di Massa-lubrense, cioè appunto d’una famiglia popolare4, pervenuta poi a nobiltà e insignita, in progresso di tempo, del marchesato della Petrella5, mostra nell’argomento troppa competenza da specialista perché possa essere 

 

              1PADIGLlONE, op. cit., pp. 106-7, 288 sgg.

              2Citato invece dal GIUSTINIANI, Biblioteca storica e topografica del Regno di Napoli, Napoli, 1793, p. 175.

         3 Presente edizione, II, pp. 37 sgg., 150-1. 

              4 Sulla quale è da vedere altresì RICCARDO FILANGIERI DI CANDIDA, Storia di Massalubrense (Napoli, Pierro, 1910), p. 428 sgg.

              Un Caputo della Petrella, Andrea, sposò donn’ Angela Cimmino, resa celebre dal Vico negli Ultimi onori in morte di donna Angiola Cimini marchesana della Petrella (Napoli, 1727); un altro, Severo, fu tra i giustiziati del 1799 (Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, ed. Nicolini2, Bari, Laterza, 1929, p. 372).


XI

 

persona diversa dal secondo. E, se non certo, è per lo meno altamente probabile che tra l’autore dei Giornali, il commentatore e prosecutore del De Lellis e fors’anche il genealogista dei Ceva-Grimaldi l’identità del nome corrisponda a quella della persona; sebbene il libro dell'ultimo, nella forma in cui ci è pervenuto, dia luogo a sospettare qualche imbroglio letterario, che la mancanza di documenti non permette di specificare.

         Dubbio è, per contrario, che il Confuorto dei Giornali scrivesse anche la Critica del libro dell’Aldimari, e a dirittura, impossibile ch’egli dal 1686 al 1674 esercitasse il notariato. Circa quest'ultimo punto, la cosa è presta detta, giacché, anche a prescindere dalle ragioni cronologiche, basta raffrontare l’autografo dei Giornali con le poche postille autografe ricorrenti

nelle ultime schede del notaio Domenico de Conforto (scritte dai suoi “ giovani di studio ,,), per avvedersi che quanto la scrittura del tabellione è tremolante e disuguale, altrettanto ferma, chiarissima, regolare e costante è quella del diarista. Discorso alquanto più lungo occorre intorno alla pretesa identità dell’autore dei Giornali con quello della Critica; e il lettore vorrà avere la pazienza di ascoltarlo.

         Motivo fondamentale della polemica Di Conforto-Aldimari, nella quale tutti e due i contendenti, pure elevando inni alla verità storica, ricorsero avvocatescamente a ogni sorta di cavilli per far trionfare la loro rispettiva tesi pratica, fu una controversia genealogico-giudiziaria fra due rami della famiglia Carafa, quelli della Roccella e gli altri di Forli, ciascuno dei quali aspirava al diritto di primogenitura, vantandosi di possederlo ab antiquo. Pertanto don Carlo Maria Carafa principe di Butera e della Roccella, per sostenere il suo punto di vista, diè incarico (certamente non gratuito) all’ Aldimari di scrivere il suo libro, pubblicato nel 1691 a spese del Roccella presso il Bulifon1; mentre i rappresentanti del ramo di Forli, ossia i fratelli Carlo, Adriano e Antonio Carafa (il celebre maresciallo2), dopo aver tentato invano, con un ricorso al Collaterale, d’impedire quella pubblicazione,  incaricavano,  loro volta, “ Roberto Lenza ,,  Domenico  di Conforto  di  correre  ai  ripari  con  la   sua  Critica,  non senza,  al  tempo  stesso,  presentare un  secondo  ricorso  al  Collaterale,  da  cui  ottennero (18 ottobre 1692)  che l’Aldimari,  quale giudice  palesemente  prevenuto  favore  della parte avversa, non intervenisse più nelle cause che essi Forli avessero nel Sacro Real Consiglio 3. Orbene, né della controversia Roccella-Forli né della conseguente polemica Aldimari-Di Conforto i Giornali dicono una parola sola: cosa tanto più strana, in quanto in essi pullulano non solo lunghi e minuti riferimenti di consimili pettegolezzi nobiliari; ma anche notizie d’ogni genere cosi sull’Aldimari, col quale anzi 

 

         1 Cfr. passim le inedite lettere del Bulifon al Magliabechi, serbato nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Carteggi magliabechiani, cod. segn. VIII. 632.

         2 Su lui cfr. CROCE, Uomini e cose della vecchia Italia (Bari, Laterza, 1927), I, pp.248-64.

         3 Tutto ciò si desume dalla Critica del Di Conforto e dalla Emendazione dell’Aldimari.

 


XII

 

l’autore dei Giornali appare legato da buona amicizia, come sopra tutto su Adriano e Antonio Carafa 1.

         Che se poi questo, quale argomento ex silentio, non ha da solo molto valore, lo convalida il fatto che nei pareri per la stampa del commento e continuazione del De Lellis, quello del censore civile (28 novembre 1700), in cui è detto che i “Discursus nobilium familiarum elaborati per magnificum doctorem Dominicum Conforto” sono “pleni variis eruditionibus, publico utilibus”, è firmato precisamente dal consigliere Biagio Aldimari!

E chi pensi alla bonarietà tutta partenopea, con cui a Napoli procedeva abitualmente la censura dei libri; e che il censore civile, quantunque teoricamente dovesse essere designato dal Collaterale (dal 1735 dal cappellano maggiore), era, nella pratica, proposto a quel Consiglio (poi al cappellano maggiore) dallo stesso autore, che lo sceglieva naturalmente tra i suoi amici; e che si dava perfino il caso che censore di qualche opera anonima (per esempio delle Lettere villeresche di Tommaso Fasano) fosse l’ autore medesimo; — chi pensi a tutte codeste cose dovrà pure trovare inverosimile che il Confuorto continuatore del De Lellis scegliesse quale censore proprio colui che egli stesso nella Critica (dato e non concesso che questa appartenga al medesimo autore), aveva accusato violentemente di volontario e non disinteressato mendacio; e l’Aldimari a sua volta accettasse il non obbligatorio incarico, lodando l’erudizione genealogica proprio dell’uomo vituperato pubblicamente da lui quale incompetente nella materia e mentitore!

         Per ultimo il lettore voglia dare uno sguardo a questa dedica, con cui il Di Conforto della Critica dà principio al suo lavoro: 

 

ALLA VERITÀ

 

         Non devono dedicarsi ch’a te sola, o Santa Verità, questi fogli, che confutano l’ altrui bugie. Tu gli hai vergati di tua mano, tu gli hai riempiuti di te stessa; tu dunque gli proteggi, gli difendi. Non cerco loro altro manto di protezzione che la tua bella nudità, né desidero loro altro lampo di gloria che la tua luce. Tu sola sarai vigoroso sostegno a questi scritti, tu che sei la base d’ogni essere; e tu puoi render gradite al mondo le mie fatiche. Tu, che sei tutta amabile, essendo indivisibile dalla bontà, so che spesso riesci odiosa, non per tua colpa, ma dell’altrui passione. Chiunque ha genio d’adulare ti stima nemica; chiunque gode dell’adulazioni ti chiama indiscreta. Altri non ti conosce, perché non s’affatica di ritrovarti; altri ti ritrova e non vuol riconoscerti, perché ascrive a vergogna l’averti ritrovata, Così il sole, benché fonte del lume ed anima dell’Universo, non piace alle nottole perché godon dell’ombra, e dispiace agli Etiopi perché gli cuoce. Cosi il gallo d’Esopo nello scalpitar d’immondizie s’attrista e s’abbatte in una gemma. Diffetto grande, ma alquanto scusabile ne’ cortigiani, a quali è necessaria o almen fruttuosa la finzione; e molto più ne’ poeti, ne’ cui libri è più dilettevole che maliziosa, ancorché

 

              1 Cfr. nella presente edizione l’indice dei nomi.


XIII

 

questi ancora t’ accolgano, se ben mascherata. Ma che gli scrittori di storie, i quali t’ hanno giurata un’inviolabile fedeltà, e che da te sola attendono la riputazione e la vita al lor nome, non solamente per negligenza trascurino di seguirti, ma anco, nel farti loro incontro, ti maltrattino per malignità e ti diano volontariamente sul nobil volto delle ferite, questo è un orrendo spergiuro, un’atroce fellonia, che non ammette scusa ne' perdono. Uomini perniciosi, nati ad oltraggiar l’antichità sempre veneranda, ad ingannar la posterità per lo più credula, degni di non avere altro essere che quello c’hanno le medesime lor chimere! Tuttavia rimangono delusi costoro nel persuadersi d’averti svenata e sepolta per sempre nel sepolcro della dimenticanza. Le tue viscere, benché nude e trasparenti, sono più infrangibili del diamante; e tutti i colpi, che ti vengono avventati, si ritorcono contro la nemica falsità, che gli avventa. Sei nata immortale, perché sei una stessa cosa con Dio. Egli è vero che, prendendoti scherzo della corruttela de’ tempi o de‘ mortali, godi talvolta. di nasconderti nelle tenebre per risorgere all’improvviso più che mai luminosa; d’ esser creduta estinta per poter con loro maggior vergogna opprimere gli oppressori. Anzi la tua forza. è tale che spesso fai servire la lor malizia alla tua gloria, cangiando in tuoi ministri i tuoi stessi nemici. Di coloro che si studiano di scavarti un sepolcro, ti servi a fabricarti colossi ed archi trionfali.

Le lor percosse cavano dal tuo seno, quasi da bianco marmo, luminose scintille, per dileguar l’ombre delle menzogne. Quanto più s’ingegnano d’abbatterti, più ti sollevano, ed a guisa di scorpioni danno l’antidoto a’ velenosi lor morsi. Di queste tue pruove è ripieno il mondo, ma nel presente libretto fra le molte ve n’ha alcuna delle più gentili, che siano uscite dalla tua mano. A te dunque il consacro, come cosa tua. È uno specchio, in cui tu, bellissima Verginella, ti vedrai, non dirò espressa al naturale, ma viva e spirante, come sei in te stessa. Spero che gradirei la semplicità dello stile, mentre so che sei tutta schiettezza e nemica d’abigliamenti. Se non altro, gradisci almeno la buona volontà, ch’è stata di puramente difenderti. La debolezza del difensore farà spiccare maggiormente la giustizia della tua causa. Vivi, o santa Verità, per tutti i secoli, e vivan teco questi fogli, che sono tuoi parti.

 

Malgrado qualche piccolo svolazzo barocco, è una pagina scritta con garbo, con finezza e perfino con un relativo senso della misura, (tre virtù letterarie assai rare in quel secolo) e, ad ogni modo, da chi era adusato a maneggiare la penna in modo ben diverso dalla zappa. E che, per contrario, il Confuorto dei Giornali, il legnoso, pedestre e piattissimo Confuorto, così partenopeo nella grafia e nella morfologia e nella sintassi, cosi incapace di sollevarsi una volta sola dal suo modestissimo “terra terra„, conoscesse l’arte dello scrivere non troppo più del suo antichissimo predecessore Loise de Rosa1, non c’è bisogno di dimostrarlo qui, perché è documentato ad esuberanza dai Giornali stessi.

         Circoscritta  pertanto  la  vita dell’ autore di  questi in confini cronologici più ragionevoli, e 

 

         1Cfr. CROCE, Sentendo parlare un vecchio napoletano del Quattrocento, in Storie e leggende napoletane2 (Bari, Laterza, 1923), pp. 119-139.


XIV

 

toltagli una almeno delle altre opere che gli si attribuivano, le pochissime notizie biografiche che si conoscevano finora di lui e che non vanno al di là dall’affermarlo autore di tutti gli scritti elencati di sopra, si sono ridotte quasi a nulla. Non è necessario soggiungere che, dal canto nostro, saremmo stati molto lieti di darne qui, mercé uno Spoglio sistematico dei Giornali, altre di autenticità molto più sicura. Ma, ben diverso da altri cronisti e giornalisti, il Confuorto si riteneva persona troppo poco importante da pensare, salvo in qualche raro caso a innestare nella cronaca di Napoli la propria autobiografia. La nostra pesca quindi, è stata molto magra; e anche, in mancanza di meglio, a tener conto di quisquilie insignificanti, tutto ciò che abbiamo trovato si assomma in questi soli sei capi:

  1. — Nel novembre 1687 si trovava in istrada, quando vide passare a cavallo, mascherata e bizzarramente vestita, una dama romana (non altrimente specificata), che i napoletani dicevano amante del connestabile Colonna, luogotenente del Regno dopo la morte del marchese del Carpio.
  2. — Il 23 giugno 1688, per volere osservare troppo da vicino il seppellimento di Francesco di Loffredo conte di Potenza, precipitò nella funebre fossa.
  3. — Nel febbraio o marzo 1692 perdé di peste a Polignano un suo cugino, Aniello Conforto, governatore di quella terra.
  4. — Il 23 febbraio 1693 ebbe incarico dal seggio di Porto, insieme con gli altri avvocati Pietro di Fusco, Nicola Caravita e Giuseppe Costantino, di studiare le scritture presentate da don Francesco Hernandez de Cordova, aspirante alla reintegrazione in quel seggio; e il nome di lui, scritto all'italiana (‟Domenico Conforto„) si trova secondo fra i quattro in calce ad un parere a stampa, presentato in quella circostanza.
  5. Il 4 maggio 1697 passò ad abitare, non si sa da quale altra casa, in quella posseduta da Filippo Maiorino al vico dei Carboni.
  6. — In quella casa appunto, pochi giorni dopo (14 maggio) gli mori d'asma la moglie, Olimpia Scalese, di anni settantacinque in set­tantasei.

Dalle quali notizie, combinate con la circostanza che la morte di Olimpia Scalese è registrata nei Libri dei defunti della parrocchia del Duomonei quali, per contrario, non si ricorda quella del Confuorto, sembra che si possano cavare queste illazioni:

  1. che Confuorto erano d' una famiglia civile;
  2. che il diarista, pur così inferiore per sapere e rinomanza Di Fusco e sopra tutto al Caravita (l'autore del Nullium ius pontificis romani in Regnum neapolitanum), non poteva non godere di qualche reputazione tra gli avvocati napoletani del tempo;

 

1Cfr. il volume comprendente gli anni 1681.1700, f. 54


XV

 

  1. - che, se egli è effettivamente una persona sola col genealogista dei Ceva-Grimaldi (ancora vivo, come s'è visto, nel 1713), tolse in moglie una donna alquanto o parecchio più anziana di lui;
  2. - che, prima di morire, passò, da quella del Duomo, ad abitare in parrocchia diversa.

 

II

 

Pur così avari di notizie esterne sul loro autore, i Giornali, tuttavia, ce ne rivelano sufficientemente la psicologia, la mentalità, la cultura. Cultura angusta, che non andava di là dalla conoscenza della prassi forense e di quel tanto di letteratura latina e italiana necessario per far l'avvocato; e che se una sicura competenza in questioni genealogiche faceva distinguere da quella abituale negli avvocati del tempo (salvo in Francesco d'Andrea, Nicola Caravita, Serafino Biscardi ed altri preeminenti), era, d'altro canto, così tradizionalistica, cosi antiquata, così retriva, da fare assumere al Confuorto atteggiamento risolutamente antagonistico e talora canzonatorio contro quel rinnovamento degli studi, che, promosso già da Tommaso Cornelio, Lionardo di Capua e Francesco d'Andrea, era giunto, mentr’egli scriveva, al maggior fulgore 1. E psicologia e mentalità non superiori a quelle d' un piccolo borghese napoletano del Seicento. Rispettosissimo quindi, nel campo politico, verso ogni sorta d' autorità costituita; incapace sol di pensare che Napoli potesse esser governata da un regime diverso da quello a cui era sottoposta; avverso anzi, per partito preso, a qualsiasi novità; sentiva tuttavia il bisogno di sfogare e brontolare contro ciò che feriva troppo il suo innato senso di giustizia: da che le sue costanti e innocue tirate contro la venalità, la rapacità e sopra tutto le sopraffazioni e le prepotenze non solo dei magistrati regi e municipali (per esempio dell' eletto del Popolo, poi magistrato Pietro Emilio Vaschi),  ma  anche   di taluni   viceré, tra i quali, quanto esalta quella rara avis di governante che fu il  marchese  del Carpio,   altrettanto  deprime  suoi  successori  Santostefano  Medinacoeli.  Così  del  pari,  attaccatissimo   alla  religione avita e ancora più alle forme superstiziose in cui il  cattolicesimo si  estrinsecava a  Napoli  (per esempio al “ miracolo di san Gennaro “);  ammiratore  entusiasta  di  un  bel  predicatore,  di una  bella  processione ed  anche  di  un  bel  funerale, non  era,  d' altro  canto,  animato  da  eccessiva simpatia verso i  costumi  di  preti e di frati,  dai quali non si commetteva a  Napoli  malefatta più o meno

 

 

     Cfr. tra gli altri E. NICOLINI, Sulla vita civile, Letteraria e religiosa napoletana alla fine dei Seicento (Napoli, Ricciardi, 1929), paragrafo II; B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia (Bari, Laterza, 1929) p. 227 segg.; Nino Cortese, introduzione alla sua ediz. Degli Avvertimenti ai nipoti del D’Andrea, Napoli, 1923.


XVI

 

scandalosa, di cui egli non riferisse, divertendocisi un mondo, i particolari più minuti 1. Analogamente, orgoglioso, come tutti i napoletani non nobili di quei tempi, dell'antichità e gloria del patriziato napoletano generalmente considerato e dei suoi " seggi „, non amava poi troppo quei patrizi singolarmente presi, specialmente se in essi al fasto estrinseco e all’ albagia non fossero pari la potenzialità economica, la probità e la rettitudine, ed esecrava a dirittura gli pseudo-nobili, che s' ammantavano d' una nobiltà o immaginaria o fraudolenta, non senza provare un particolare gusto a svelarne le spiritose invenzioni, le frodi, le marachelle, le bacature più o meno nascoste. E l' elenco potrebbe continuare per un pezzo e comprendere non solo il suo scetticismo livellatore e canzonatorio; la sua passione per tutto ciò che sapesse di festa, di pompa e di spettacolo rumoroso e multicolore; il suo spasso pel fatterello piccante, salace e a forti e perciò non fini tinte pornografiche; ma anche altri tratti fisionomici generici, che, appunto perché generici, non è necessario indicare minutamente. 

     Giova invece richiamare l' attenzione su due tratti fisionomici specifici, che lo fanno distinguere subito fra la turba dei piccoli borghesi tra cui viveva : la sua inappagata curiosità, più gallica che partenopea, di conoscere per filo e per segno gli avvenimenti grandi e piccoli, e più piccoli forse che grandi, della sua Napoli e, quando gli riuscisse, anche di città vicine e lontane (per esempio, di Roma, di Vienna e di Madrid); e il suo piacere non meno intenso,  anch' esso più francese che napoletano, di discorrerne, di discuterne e, naturalmente, di porli in iscritto.  La  natura  non  gli aveva  data  alcuna  delle  doti  dello  storico e  del  politico,  sia pure di  piccolo  stile; e,  come  nessuno  meno  di lui  intese lo  spirito  della  Napoli  dei  suoi  tempi,  di cui  nessuno  più di  lui   conosceva   la   cronaca,  così  le   rarissime   volte  che   dal   fatto  narrato  tenta  assurgere  una  qualche  considerazione  politica,  le  sue  parole  hanno sapore  non  diverso  da  quelle che oggi usa chiamare “ chiacchiere di caffè “ o “ di farmacia „. Tuttavia, se non forse appunto per ciò, egli era un giornalista o, più esattamente, un reporter nato, punto inferiore, anzi superiore per taluni rispetti ai parecchi che nella Napoli seicentesca esercitarono prima di lui (Zazzera, Bucce, Innocenzo  Fuidoro  ossia Vincenzo d' Onofrio, ecc.) o quasi contemporaneamente a lui (per esempio Antonio Bulifon)  la  medesima volontaria e gratuita professione2 Porsi quasi ogni sera a tavolino e narrare i ”fatti diversi„ della giornata fu per un ventennio il suo programma, attuato  con esattezza  cosi

 

 

      1 Che codesto atteggiamento fosse, non peculiare al Confuorto, ma comune a tutta la piccola borghesia napoletana del tempo, può vedersi, tra altri esempi che si omettono, dal gran lavoro di ricamo messo insieme intorno agli " scandali “, del convento femminile napoletano di Sant'Arcangelo a Baiano: cfr. Olmi, " Le couvent de Baiano “e un romanzo di Girolamo Brusoni, in Critica, XXVII (1930), pp. 220-8.

      2 Per una compiuta rassegna di cadesti cronisti cfr. la ricca nota bibliografica, aggiunta dal CORTESE alla sua citata edizione degli Avvertimenti di Francesco d' Andrea.


XVII

 

scrupolosa che, anche a mettercisi di proposito, riesce molto difficile, coi documenti alla mano, trovarlo reo, non si vuol dire di volontarie alterazioni della verità e di anacronismi (peccati che non aveva né ragione né modo di commettere), ma neppure di quelle confusioni, fraintendimenti e omissioni, in cui anche oggi cascano così spesso i giornalisti.

      Senza dubbio, a svogliare dal leggere filatamente le sue circa mille grosse e fitte pagine conferiscono quell' alcunché di piccino, di angusto e di  pettegolo  che vi regna e, sopra tutto, l' asfissiante monotonia con cui si susseguono descrizioni quasi stereotipe di matrimoni, processioni, funerali, duelli nobileschi e rusticani, risse, scampagnate viceregali, questioni genealogiche e " di precedenza “, scandali amatori e finanziari, insomma di tutti i piccoli " fatti di cronaca „ che formavano la piccola vita esteriore della Napoli della fine del Seicento. Ma chi, riuscendo a vincere questa prima impressione, conduca la lettura fino in fondo, finisce col trovarsi in possesso, se non di un quadro della vita e costumi napoletani di quel tempo, per lo meno di una serie numerosissima d' “ istantanee “, ch' è quanto dire di tutti gli elementi necessari per disegnarlo.

      Non che a colorirlo ancora meglio non giovino, e molto, le altre fonti diaristiche (o, meglio, ebdomadarie) che si posseggono per quel periodo, vale a dire, da un lato, i dispacci 1 dei nunzio pontificio, del residente veneto e, per una decina d' anni, anche dell' agente piemontese Giambattista Operti (che sovente allegava alle sue lettere foglietti manoscritti di “ avvisi “ e, dall'altro

lato, i numeri superstiti della semiufficiosa e sovente menzognera Gazzetta di Napoli 2. Ma, alla fine dei conti, codeste fonti sussidiarie, importanti che siano, rappresentano rispettivamente il punto di vista delle corti di Roma e di Torino, del Senato veneto e del governo napoletano : la cernita, quindi, e la prospettiva stessa degli avvenimenti ubbidiscono a particolari norme e preoccupazioni, da cui sono totalmente liberi i Giornali  del  Confuorto,  che  rappresentano, tutt' al più, il punto di vista del piccolo borghese napoletano, il quale, scrivendo, non per un qualsiasi pubblico,  ma  per  se  solo,  non  ha  alcuna “ tesi “ da  far trionfare,  e  che,  essendosi dato  quella  fatica  non  per  debito  d' ufficio, ma  per  suo  spasso  diletto,  vi  pone  tutto I' impegno  che  piccoli  borghesi napoletani  usano  mettere  nelle  cose  che fanno  per loro personale divertimento. E poiché egli aveva buon naso e, anziché, alla stessa guisa dei diplomatici di professione, avvalersi d' informatori prezzolati, raccoglieva le notizie da se medesimo, gli accade perfino di dare molto  rilievo a  fatti d' una  qualche  importanza, su  cui i diplomatici

 

 

      1 Serbai rispettivamente belli Archivio Vaticano e negli Archivi di Stato di Venezia e di Torino.

      2 Sulla quale, sulla guisa in citi veniva compilata e sulle volontarie bugie che di cava è da vedere Nom CORTiellk Gazzette napoletane del Sei e Settecento, in Napoli nobilissima, nuova serie, III (192g), pp. 91-8. Un certo numero di annata seicentesche è stata acquistato di mente dalla Società napoletana di storia patria.


XVIII

 

sopra mentovati sono totalmente o parzialmente muti. Per esempio, mentre non solo l' agente piemontese e il residente veneto, ma, ch' è più strano, nemmeno il nunzio pontificio dicono una parola sola sul notevolissimo tentativo d' introdurre a Napoli le novità religiose di Miguel de Molinos e della lotta al coltello determinatasi a tal riguardo tra i gesuiti e il preposito generale dei Pii operari padre Antonio Torres, il Confuorto esibisce su quel movimento un bel gruzzolo di fatti reconditi, che, quasi soli, hanno consentito di ricostruirlo testé nelle sue linee generali 1. E se poi i dispacci del nunzio (non cosi quelli veneti e piemontesi) abbondano di notizie (restate,

come quelle del Confuorto, totalmente sconosciute all' Amabile 2) sul “ processo degli ateisti “, sulla cacciata da Napoli del delegato dell' Inquisizione romana e sulle annose controversie giurisdizionali tra la Città di Napoli e la curia arcivescovile e quella papale, le molte pagine scritte dal Confuorto sull'argomento, pur contenendo talora meno, saranno sempre consultate

con grande profitto, giacché, malgrado il suo evidente filocurialismo o, come ai

diceva allora, “ cantelmismo “ (dall' impetuoso cardinale arcivescovo di Napoli Giacomo Cantelmo), egli offre parecchi particolari, che il nunzio aveva tanto maggior ragione di omettere, in quanto non avrebbero conferito a quella “ verità addomesticata “ che sola si voleva far conoscere a papa Innocenzo XII (Antonio Pignatelli), al quale si sperava, per tal modo (senza

riuscirvi), di strappare l' interdetto contro la sua città natale.

      Ultima caratteristica del Confuorto è il suo collezionismo libresco, non esteso, a quanto si sappia, a volumi grossi e costosi, ma limitato a quella sorta di letteratura, le cui manifestazioni tipografiche allora costavano quasi nulla, e oggi si pagherebbero a prezzi favolosi, vogliamo dire a opuscoli popolari, pamphlets, giornali, incisioni, manifesti, fogli volanti e simili. E appunto codesto suo collezioniamo e la felice idea di intercalare in originale, e, qualche rara volta, in copia, tutte codeste “pezze d' appoggio“ alla sua cronaca 3, di mano in mano che se ne avvaleva, rendono altresì i suoi Giornali la più ricca collezione del genere, che si possegga per la Napoli degli ultimi venti anni del Seicento.

 

 

III

 

       L' autografo dei Giornali  constava,  per  lo  meno,  di  quattro  volumi, corredati,  ciascuno,   delle   " pezze giustificative „  di  cui  s' è discorso, di parecchie  postille  marginali,  parimente

 

 

      1 Cfr. F. Nicolini, op. cit., paragrafo III

      2 Nel suo libro, pur così ricco di notizie tolte da altre fonti, sul Sant’ Ufficio della Inquisizione a Napoli (Città di Castello, Lapi, 1892).

      3 L'esempio era stato dato in qualche modo al Confuorto dal Fuidoro (D' Onofrio), che intercalò all'originale dei suoi Giornali detta rivoluzione di Masaniello (serbato nella Biblioteca dell'Archivio di Stato di Napoli) una serie di stampe iconografiche.


XIX

 

autografe, e d' un indice alfabetico di nomi e cose notevoli, compilato dal medesimo autore. Il primo, di fogli 334 numerati da un sol verso, comprende gli anni 1679-1687; il secondo (pagine 283) gli anni 1688-1690; il terzo (pagine 583) gli anni 1691-1694; il quarto infine (al quale non è da escludere potesse seguirne qualche altro totalmente disperso), di non si sa quanti fogli, comprendeva gli anni 1695-1699. 

" Comprendeva “, giacché sembra andasse perduto fin dal principio del Settecento; al contrario degli altri tre, posseduti attualmente dalla Biblioteca della Società napoletana di Storia patria (codd. segn. XX. C. 20.22), a cui pervennero, non si sa attraverso quante e quali mani, da chi nelle nostre note a piè di pagina è chiamato l' " Anonimo “.

      Sarebbe stato al certo non senza interesse identificarlo; ma poiché, malgrado le nostre ricerche, non ci siamo riusciti, di lui possiamo dire soltanto:

  1. ch' era persona molto pia e scrupolosa, perché tirò implacabilmente freghi di penna (e talora cosi grossi e fitti da rendere impossibile la lettura) non solo su tutte le parole e frasi troppo realistiche, ma a dirittura su intere pagine più o meno salaci, specie se concernenti nobili, preti, frati e monache;
  2. che la sua tenerezza verso la nobiltà napoletana giungeva al punto di farlo diventare avvocato e paladino di qualsiasi componente di essa, in cui difesa aggiunse in margine, contro il Confuorto, non poche postille polemiche ;
  3. che più obiettive ed anche più utili sono altre sue postille, in cui aggiornò qua e là certe notizie genealogiche fornite dal Confuorto, non senza ricordare in una i figli del duca di San Teodoro Caracciolo, " che si educano — egli dice — in Francia dal zio don Domenico marchese Caracciolo, ambasciatore e cavaliere di San Gennaro „ : il che induce a collocare la data di siffatta postilla negli anni del soggiorno parigino del Caracciolo, ossia tra il 1772 e il 1781 1 ;
  4. ch' era legato  da  parentela o  grande  amicizia  coi  discendenti dell' avvocato, poi magistrato Francesco Nicodemo : uno degli uomini più in vista della  Napoli della fine del Seicento, come mostra la frequente menzione che fanno di lui Giovanni Mabillon, Giuseppe Valletta e Antonio Bulifon  nelle  loro  lettere  ad  Antonio  Magliabechi 2, e  al  quale l' Anonimo

 

 

      1 Sul Caracciolo cfr. Croce, in Uomini e cose cit., II, pp. 83-112; Schipa, Un ministro napoletano del secolo XVIII (Domenico Caracciolo), in Archivio storico per le provincie napoletane, XXI, pp. 828-81, 533-625, 707-800; PONTIERI, Lettere del marchese Caracciolo, vicerè di Sicilia, ai ministro Acton (1782-1786), in Arch. stor. cit., nuova serie, XV (1929),

p. 206 segg.; F. Nicolini, L'abate Galiani e il marchese Caracciolo, in Pègaso, II (1930), pp. 641-669.

      2 Cfr. F. Nicolini, Sulla vita cit., passim. Era parente al certo (forse fratello) di Leonardo Nicodemo, il continuatore della Biblioteca del Toppi.

 


XX

 

brucia parecchi granelli d' incenso in molte delle sue postille, nelle quali allude altresì a manoscritti del Nicodemo posseduti dagli eredi.

      Dell' autografo dei Giornali furono cavate nel secolo XVIII più copie, delle quali se ne serbano oggi due, tutt' e due incompiute. La prima, mancante degli anni 1695-1699, e distribuita in sedici volumetti, custoditi nella Biblioteca nazionale di Napoli (insieme con un volume sussidiario, contenente un indice alfabetico, compilato da Scipione Volpicella) generalmente molto fedele. Infedelissima, per contrario, è l' altra, mancante degli anni 1679-1683, e compresa in quattro volumi (rilegati in tre tomi), posseduti nel 1732 dal dottor Nicola Pastina, passati indi, nel secolo XIX, nella Biblioteca di San Martino 1 ed ora in quella della Società napoletana di storia patria (codd. segn. XXV. D. 1 - 3). Basti dire che il testo sovente è abbreviato e talora parecchio; che le parole o frasi saltate per distrazione (supplite congetturalmente da noi tra parentesi quadre) non sono poche; che non si tiene alcun conto delle " pezze giustificative “ sopra mentovate; che le postille marginali dell’ autore sono o soppresse o rifuse nella narrazione, senza alcun segno che le distingua; che l' amanuense volle anche correggere la grafia del Confuorto, sostituendo sempre  spessissimo,  per  esempio, " condannare „ e derivati a " condendare „ dell' originale, " gesuita o " giesuita „ a " giesuvita „ , e così di seguito; e finalmente che i cognomi, già spesso mutati o sbagliati dal Confuorto, subirono nella copia avarie cosi disastrose da rendere irriconoscibili le persone che se ne fregiavano.

      A ogni modo, poiché per gli anni 1698-1699 non disponevamo di meglio, codesta copia appunto, per siffatto periodo, abbiamo dovuto seguire nella presente edizione. Per gli anni 1679-1694, invece, abbiamo riprodotto con la maggiore fedeltà l' autografo, rendendo sempre conto in nota di qualche rara e lieve nostra correzione di troppo fastidiosi errori di concordanza o di evidenti lapsus, e restituendo tutte le parole, frasi e brani cancellati dall' Anonimo, salvo qualche parola restata indecifrabile sotto le cancellature e alla quale abbiamo sostituiti puntolini sospensivi. I parecchi nomi di battesimo e, più raramente, cognomi (o, comunque, parole) lasciati in bianco dal Confuorto sono stati rappresentati con tre asterischi. Le postille marginali dell' autore sono state, per esigenze tipografiche, intercalate anche da noi al testo, ma chiudendole sempre tra parentesi salvo, naturalmente, per gli anni pei quali ci siamo dovuto avvalere della quadre, copia, che, come s' è detto, fonde e confonde testo e postille.

Delle "pezze giustificative “, intercalate dell' autore, abbiamo dato precise indicazioni bibliografiche, e talora riassunti, nelle note a piè di pagina, ove si troveranno altresì in riassunto o integralmente quasi tutte le postille dell' Anonimo (eccezion fatta per quelle insignificanti o a dirittura

 

      1 Cfr. PADIOLIONE, op. e loc. cit.

 


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XXI

 

 

melense). E finalmente, per rendere più agevole la consultazione, non abbiam risparmiato fatiche per render più copioso e particolareggiato che fosse possibile un nostro nuovo indice alfabetico, nel quale, sempre che c’ è riuscito, abbiamo sostituito la forma corretta, usuale e italiana dei tanti cognomi e nomi variamente sbagliati e storpiati dal Confuorto o dall' autore della copia ; distinti i moltissimi omonimi ; e talora aggiunti, o in base agli stessi Giornali o ricorrendo a fonti sussidiarie, brevissimi cenni biografici delle persone più notevoli o meno oscure.  

 

Nicola Nicolini

 

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