di Antonio Bellucci
- Le prime pagine dell'estratto -
Nota Bene: si sono lasciati nel testo riportato, i numeri delle note. Il contenuto cui si fa riferimento andrà letto nel testo originario
I discepoli di S. Filippo Neri - che si chiamarono Filippini od Oratoriani dal nome del loro Fondatore o dal titolo di Oratorio dato alla Congregazione, divenuta di poi celebre specialmente per la tradizione degli studi storici -, appena vennero a Napoli, dove, a cagione della loro provenienza dalla chiesa di S. Girolamo di Roma, furono chiamati i Girolamini, fondarono verso il 1586, una Biblioteca molto ricca di opere e pubblica, per averla aperta, contro gli usi d'allora, ad ogni genere di studiosi (1).
II P. Mandarini fece precedere un dotto (2) cenno storico intorno a questa Biblioteca, quando diede alle stampe la sua descrizione dei Codici oratoriani (3). Una grave lacuna è, però, in quello studio introduttivo, poiché l'autore dice che la Biblioteca possiede ben quaranta incunabuli, ma non ne da l'elenco e si contenta di citarne appena cinque (4). Miproposi di cercare i rimanenti, non attraverso i cataloghi, ma rivedendo i volumi uno per uno. Nei diecimila dei fondi gervasiano e troyano,ne trovai uno, e ben sessantadue altri, tutti mai posteriori al 1499, neiventiseimilaquattrocentoventi volumi dei fondi filippino e vallettiano.
Compilai un accurato catalogo, rimasto ancora inedito (5).
Ho accennato a questa mia fatica - che del resto, sebbene non deve valer molto come le altre, non è la prima in questa Biblioteca, né altrove (6) - principalmente e forse unicamente perché, mentre io in un afoso pomeriggio d'estate seguitavo in essa, e dopo di aver cercato invano per molte ore, mi riposavo, solo ed un poco stanco, a fantasticare innanzi ai libri, come a me piace talvolta, seduto in uno degli artistici e molto comodi sedioloni settecenteschi, posai lo sguardo, prima distrattamente e poi con maggiore insistenza, sul fondello anepigrafo d'un volume, che, per la sua singolarità, attirò molto la mia attenzione, fra gli altri di pergamena molle.
Andai al palchetto, tolsi il volume e rimasi meravigliato della bellezza di quella legatura: provavo l'impressione di chi si ricorda di contemplare una qualche cosa ben nota, ed insieme non sa più precisare dove e quando l'ha già veduta.
Per una delle solite strane associazioni d'idee, ricordai subito di avere innanzi a me un esemplare, forse autentico, di una di quelle preziosissime e troppo rare legature cinquecentesche, col medaglione d'Apollo e col motto: Ορθως και μη λοξιως (Giusto e non ambizioso) note ai bibliofili con l'appellativo di canevariane, perché furono attribuite ad un Demetrio Canevari, medico e bibliofilo genovese del sec. XVI.
Intanto come mai lo trovavo in uno dei fondi della biblioteca Oratoriana? Ed era il solo, oppure altri esemplari rimanevano sparsi, per le materie delle opere legate in essi, in posti diversissimi e fra tutti gli altri volumi dei quattro fondi? A quale di questi doveva appartenere l'esemplare già trovato? La ricerca della provenienza avrebbe apportato un po' di luce all'intricata questione dell'attribuzione canevariana? L'esemplare da me rinvenuto era noto o ignoto ai bibliofili che avevano trattato quell'argomento?
Queste ed altre incognite si presentarono innanzi alla mia mente. Vedevo che, per risolverle, mi sarei incontrato in qualche difficoltà non lieve.
Incominciai a rivedere la letteratura della questione; e rilessi attentamente (7) la monografia più pregevole ed esauriente, secondo me, che mi sia riuscito di conoscere su questo argomento. Il prof. Giuseppe Fumagalli, Direttore dell'Universitaria di Bologna, sebbene abbia dovuto confessare ai suoi lettori di non poter dire l'ultima parola sull'attribuzione canevariana, ha nondimeno il merito incontrastabile di essere stato il primo a discreditarla (8): io, sulla scorta di quanto da lui è stato validamente dimostrato, credo di aver quello - se pur merito è in questo - di averla resa insostenibile, mediante la mia scoperta di ben altre ventidue ignorate legature, tutte provenienti dal fondo Valletta della Biblioteca Oratoria ria di Napoli.
Mentre, infatti, studiavo questo argomento e lavoravo alla ricerca degl’incunabuli, non trascurai di esaminare anche tutte le più importanti legature esistenti all'Oratoriana; e, per occuparmi anche degli altri generi e più per la speranza di rinvenire altri esemplari col medaglione d'Apollo, non lasciai inesplorato nessun cantuccio.
Sono in tutto ventidue: quanti cioè, se non se ne sono scoperti altri, a me ignoti, costituiscono quasi precisamente il doppio di quelli custoditi, secondo l'elenco Fumagalli, nelle Biblioteche pubbliche di tutto il mondo.
ln Italia, ve ne sarebbero tre a Roma (Elenco Fumagalli, n. 26 alla Bibl. V. Emanuele ; n. 10 e 59 alla Bibl. Casanatense), tre a Genova (lvi. n, 16, 49, 52 alla Bibl. Universitaria), a Firenze una (Ivi, n. 53 alla Bibl. Nazionale) ed a Cremona una (Ivi, n. 11 alla Bibl. Governativa). All'estero, ve ne sarebbe una alla Bibl. Nazionale di Parigi Ivi, n. 18), una a quella Reale del castello di Windsor (Ivi, n. 39) ed una al Museo Britannico di Londra (Ivi, n. 48). Questi dati sono, naturalmente, approssimativi. Lo stesso Fumagalli, infatti, scrive, innanzi al suo elenco:
«Raccolgo qui appresso, in ordine alfabetico, la indicazione delle legature cosiddette Canevari, delle quali ho potuto avere notizia. Non oso presentarla neppure come un tentativo di ricostruzione della libreria appartenuta al Canevari o a quel qualunque ignoto bibliofilo che decorò i suoi libri dell'elegante medaglione con l'impresa di Apollo; poiché non ostante le mie lunghe ed assidue diligenze, troppo scarso è il numero delle legature raccolte, e per quanto sia legittimo di supporre che il numero delle legature esistenti sia sempre. ristretto, è pure da ammettere che molte me ne siano rimaste ignote, non tanto nelle Biblioteche pubbliche, dove la ricerca è stata fatta con ogni cura, sia in Italia, sia all'Estero, quanto nelle raccolte private (9)».
Se non erro, quasi tutte le altre legature ricordate nell'elenco Fumagalli, ove si escludano le dubbie (10), non sono sempre facili a consultare, perché o sono possedute da privati o da enti quasi privati sparsi per il mondo, oppure ci sono note dalle descrizioni che se ne fecero in cataloghi di vendite librarie. Le ricerche fatte personalmente, o fatte fare, dal Fumagalli, e che hanno avuto esito negativo, nelle pubbliche Biblioteche pare siano limitate, come afferma egli stesso, alla Vaticana, all'Angelica di Roma, alla Corsiniana, alla Civica Beriana di Genova, alla Marciana di Venezia, al Museo Correr, alla Bodleiana di Oxford, alla Reale di Dresda, a quella di Corte e di Stato di Monaco ed alla Nazionale di Madrid.
L'Oratoriana di Napoli non meritava di essere consultata? È vero che quando il Fumagalli scrisse non tanto nelle Biblioteche pubbliche dove la ricerca è stata fatta con ogni cura non intendeva parlare di tutte le Biblioteche pubbliche italiane e tanto meno di quelle dell’estero; nondimeno, non per questo, quella frase forse non è solo un pochino esagerata, tanto più se si tiene presente che il ch. Autore, per essere stato diverso tempo in Napoli alla direzione della Biblioteca Universitaria, avrebbe potuto dare uno sguardo anche alla Biblioteca Oratoriana (11). In altra parte del suo lavoro, il Fumagalli conchiude:
« Se il materiale e le informazioni raccolte ci permettono ormai di discutere con sufficiente cognizione la questione delle legature Canevari, purtroppo non posso dire che mi permettono di risolverla, poiché in 13 anni, da che ho rivolto la mia attenzione su questo argomento non ne sono venuto a capo. Io mi contenterò di riassumerla, nella speranza che altri più abile o più fortunato di me, Riesca a dare una soddisfacente risposta alle molte domande che ho lasciate inappagate (12)»
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Ma chi fu il Valletta, e quando le acquistò? Fra i raccoglitori di oggetti d’arte, di statue dell'antichità classica, di buoni quadri e, principalmente, di codici e di edizioni rare o pregevoli, non è da dimenticare, nel troppo spregiato seicento, il napoletano Giuseppe Valletta, resosi famoso per una sua insigne Libreria privata, visitata e consultata dai più illustri letterati stranieri, di passaggio per Napoli, e da quanti si distinsero in quel tempo presso di noi nei buoni studi (18). Dopo la morte del fondatore, avvenuta il 6 maggio 1714 (19), la ricca raccolta passò in eredità al semiscemunito Diego Valletta; il quale, verso il 1720, incominciò a vender tutto, per poco danaro, e specialmente a dotti stranieri (20).
Apostolo Zeno, in una lettera scritta da Vienna a dì 24 agosto 1720 a Pier Caterino Zeno suo fratello, scrive:
«Lo studio dei sigg. Valletta ha perduto uno dei suoi migliori ornamenti, cioè tutte le statue antiche, delle quali era nobilmente adornato, e che il vecchio Valletta aveva con tanto studio e dispendio raccolte. Esse sono state vendute ad un medico inglese nel basso prezzo di mille e cento ducati napoletani.
Sono rimaste presso gli eredi alcune urne bellissime di straordinaria grandezza, che fece già disegnare il celebre Jacopo Tollio con animo d'illustrarle, ecc... Sentesi che anche queste urne sieno in trattato di vendita, un altro inglese applicandovi. Io sono certo che, dopo queste, avranno la stessa sorte le medaglie ed i libri, e in particolare i bei codici, dei quali ho dato il catalogo nel Giornale dei Letterati d'Italia (21).»
E Giambattista Vico, che era stato amicissimo del Valletta, come lo era dei filippini napoletani, per salvare, fin dove era possibile, quella insigne Libreria, ne propose a costoro l'acquisto, per ducati quattordiciimila. I filippini non avevano pronto il danaro; ma amantissimi come furono degli studi, fecero un debito e divennero i padroni della Biblioteca. Il Vico, in una sua lettera al Vitry, (22) dice:
«Questi RR. PP. dell'Oratorio, con animo veramente regale e pieno di pietà inverso di questa patria hanno comprato la celebre libreria del chiarissimo Giuseppe Valletta per 14.000 scudi, la quale trent’anni addietro valeva ben a 30.000: ma io che sono stato adoperato ad estimarla, ho dovuto tener conto dei libri, quanto essi vagliono in piazza, nella quale i greci ed i latini, anche delle più belle e più corrette edizioni primiere, sono scaduti più della metà del loro prezzo, e il di lei maggior corpo sono siffatti libri greci e latini».
La caratteristica principale, adunque, del fondo vallettiano è la raccolta delle opere scientifiche e letterarie, delle quali molte postillate su immagini da celebri studiosi: e si sa che il valletta poneva molto studio nell’acquisto di siffatte libri. Do, in nota, alcune citazioni archivistiche della storia del fondo vallettiano (23).
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