Canti popolari raccolti in Napoli con varianti e confronti nei varii dialetti - Luigi Molinaro Del Chiaro: le due edizioni del 1880 e del 1916.
LA PRIMA EDIZIONE EBBE TITOLO:
“CANTI DEL POPOLO NAPOLETANO – RACCOLTI E ANNOTATI DA LUIGI MOLINARO DEL CHIARO.”
La dedica dell’autore a Giuseppe Pitrè
CHIARISSIMO SIGNOR PITRÈ,
A Lei che con sì grande amore coltiva gli
studii di poesia popolare in Italia, onde tanto
s' avvantaggia la nostra letteratura e trae
onore la sua Sicilia, io mi permetto di dedicare
questa raccolta di Canti del popolo Napoletano.
Sarà l’offerta degna di Lei ? La tenuità del
lavoro me ne fa dubitare moltissimo; ma l’amicizia
di che la S.V. da tanti anni mi dà pruova, e la
stima grandissima che io Le professo mi sono cagione
a bene sperare.
Pertanto l’autorità del suo nome sarà sempre una
raccomandazione per l’opera mia.
Mi creda con ogni rispetto
della S.V.
devotissimo
Luigi Molinaro Del Chiaro
Al ch. Dott. Giuseppe Pitrè Palermo

Chi è Giuseppe Pitrè al quale questa è edizione è stata dedicata.

Fonte: Wikipedia.
Giuseppe Pitrè (Palermo, 22 dicembre 1841 – 10 aprile 1916) è stato uno scrittore, medico, letterato ed etnologo italiano, considerato il fondatore degli studi folklorici in Italia.
Ha studiato e raccolto tradizioni popolari, influenzando la cultura e la letteratura italiana.
Proveniente da una famiglia umile, partecipò all'impresa di Garibaldi e si laureò in medicina nel 1865. Esercitò come medico, entrando in contatto con i ceti popolari, da cui trasse preziosi dati per i suoi studi etnologici.
La sua opera principale, la "Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane", composta da 25 volumi pubblicati tra il 1871 e il 1913, è un trattato completo sul folclore siciliano, includendo canti, proverbi, fiabe, usanze e tradizioni. Fondò nel 1880 l'importante rivista "Archivio per lo studio delle tradizioni popolari" e nel 1910 istituì il primo museo etnografico siciliano, oggi intitolato a lui.
Pitrè fu anche docente universitario, introducendo la demopsicologia (folclore) come disciplina accademica. Fu nominato senatore del Regno d'Italia nel 1914 e presidente della Reale Accademia di Scienze e Lettere di Palermo. La sua produzione letteraria, tradotta anche all'estero, ha influenzato autori come Luigi Capuana e Giovanni Verga.
Morì a Palermo nel 1916.
Le sue opere continuano a essere un riferimento fondamentale per gli studi sul folclore e la cultura materiale siciliana.
Di questa prima edizione inserisco di seguito il contenuto integrale delle cinque pagine – da V a IX – con il testo della
PREFAZIONE
Ei sono oltre a dieci anni passati, fu nel febbraio del 1870, quando noi con apposito avviso promettevamo un Saggio di canti popolari napoletani da dar fuori appena si fossero raccolte tante firme che avessero potuto francare le spese della stampa. E per verità dobbiamo con soddisfazione confessare che non ci fu difetto di soscrittori , tanto che in men di un mese ben 175 furon quelli che colla loro firma aderirono all'associazione. Assai di buon grado noi eravamo per accingerci all'opera, quando imprevedute circostanze, le quali ci avvisavamo non avessero avute a durar troppo, ce ne tennero per allora lontano. Ma non sì che non ci fosse sempre nell'animo restato l'amore per cosiffatti studii e la speranza di vedere al più presto compiuto il nostro divisamento.
Ora, la Dio mercè, messo da banda ogni altro pensiero, e incoraggiali dalle gentili premure, che dagli amatori del patrio dialetto e delle cose nostre ci vennero in ogni tempo fatte, mandiamo per le stampe alcune centinaia di canti del popolo napoletano, che sin da allora avevamo raccolte con ogni studio e diligenza. Noi in sulle prime pensavamo d'intitolare la nostra raccolta canti popolari napoletani, ma poi, discorrendo meglio le ragioni, e, seguendo l' esempio dei signori Dalmedico, Bernoni, Lizio-Bruno ed altri, come del pari l'avviso del professore Arcoleo (G. Arcoleo - Canti del popolo in Sicilia. Napoli, 1878.), ci siamo determinati , senza più , a intitolarla canti del popolo napoletano; dappoiché ci pare più esatto quest’ultimo a indicare ciò che è esclusiva creazione del popolo mentre l' altro ci fa ricordare di quei canti che, sebbene composti da uomini di lettere, per la loro spigliatezza e faciltà sono passati nel patrimonio del volgo. Di tal natura senza dubbio sono: Lo Cardillo, Lo passariello e tant’altri che da più tempo e spesso corrono per le bocche di tutti.
Nel raccogliere questi canti e nell' ordinarli alla meglio, noi facemmo disegno altresì di farli seguire da opportuni confronti coi canti d' altri dialetti e da alquante note dichiarative e filologiche, le quali per altro con tutta la nostra cooperazione, e la premura consentitaci dalle nostre deboli forze, son riuscite inferiori al nostro desiderio e saran per riuscire cento tanti inferiori a quello dei nostri lettori.
Alla buona indulgenza dei quali qui facciamo appello e tanto più in quanto che teniamo daIla nostra la scusa d'averci a questa specie di pubblicazione invogliati la brama di essere di sprone ai dotti nostri concittadini ed amici ad entrare nel medesimo arringo.
Con quanti disagi siamo andati raccattando dalla viva voce del popolo i canti che ora presentiamo al lettore non diremo qui certamente , solo tenghiamo a dichiarare che sin dall' infanzia essi ci allettarono e col volger degli anni divennero lo scopo dei nostri sludii. Né di questo per avventura vogliamo farci merito, quando e italiani e stranieri son venuti affermando che questa nostra terra così sorrisa da Dio è la terra del canto e della poesia; e che l'uno e l' altra accompagnano il popolo in tutta la sua vita; giacché bambino gli molce il sonno la ninna-nanna della mamma , fanciullo accompagna i suoi balocchi con allegre canzonette, più grandicello, scorazzando pei campi, inneggia alla festa del ricolto e della vendemmia, adulto è una cara vergine che ne inspira la canzone d'amore, vecchio gli è caro trasmettere ai nipoti nei suoi canti la memoria di certi fatti e delle patrie tradizioni.
Non sappiamo dire quante volte ci siamo soffermali alla bottega dell'artigiano per raccoglierne il canto con cui alleviava le sue fatiche, quante volte abbiamo sorriso alla buona vecchierella per sentirla cantare mentre filava all'uscio di casa sua, quante volte abbiamo seguito apposta nel suo cammino dal Carmine a Mergellina il robusto battelliere per l'agio di far tesoro delle sue appassionate cantilene. Ed era allora proprio che noi ci facevamo tutt'orecchi per non perderne sillaba e ad uno domandavamo da chi le avesse apparate, ad un altro da quando in qua si fossero cantate, e tutti su per giù convenivano in questo: l'autore delle canzoni essere Cupido. Anzi qui ci piace riportare nelle sue genuine espressioni quanto ci venne affermato a tal proposito da una vinaia di Posillipo. «L'autore d' 'e ecanzone è Cupindo, puveta e cantatore da nu munno 'e sècule fa. Chi sape 'a stòria de tutt' 'e ccanzone è scummunecato. Ce steva 'na vota 'o lìbbero de 'ali ccanzone, ma quase tutte però l'ammo 'mparate a sentirle dì' da l’àutre. Cupindo eva napulitano ed eva nu malacarne che n’ha, fatto chiàgnere àsteche e lavatore e pe' chesto sta a Casudiàvulo ànema e cuorpo pe' li ccanzone e li scustumatezze ca isso faceva. Eva pure se andaluso e birbante.
E fu in quella circostanza appunto che sapemmo il popolo chiamare purtata ciascuna sillaba di un verso, e ogni due versi costituire una parte del canto.
Ma fra mezzo ai disagi ed alle fatiche durate nelle nostre ricerche ci fu sempre compiacimento fragrande il trovar fra parecchia scoria certi gioielli di canti che daddovero parevano dettati meno dal popolo che da un poeta di vaglia, come ancora certe espressioni così felici , certi vocaboli tanto espressivi e certi costruiti talvolta tanto esalti da farci dar ragione ad Orazio e Quintiliano, il primo che nelle sue Epistole dà al popolo il titolo di padre delle parole, e l'altro che lo chiama sicuro maestro. Peccato però che spesso nei canti della nostra plebe, così ricca d'ingegno e di sentimento, e in mezzo a tanta freschezza di pensieri e così grande potenza di affetti, s' incontrano delle banalità, troppo basse e dei pensieri nei quali si fa triste governo della morale e del buon costume. La qualcosa per altro bisogna pur perdonarla al popolo che come l'individuo ha i suoi momenti di ebbrezza e di pazzia; ma, comunque vada, basterebbero alcuni soli dei canti della nostra raccolta per far giudicare in favor del nostro popolo, che, fra le aure imbalsamate del nostro cielo e tra l'incanto del mare e delle colline, nasce poeta e sente ed ama più ancora del poeta letterato.
Ben si avvisa perciò chi fa scopo dei suoi sludii questa specie di canti; imperocché essendo essi la espressione più naturale dei sentimenti d' un popolo, formano a dir così, una miniera inesausta di voci espressive, di bei modi che talora anche più della lingua comune rendono e con maggiore efficacia i pensieri della mente.
Queste cose abbiamo sin qui detto meno per bisogno che ne avessimo sentito, quanto, per la soddisfazione di affermare che , se fosse tenuto meno in non cale lo studio dei dialetti e specie di questo nostro, più degli altri prossimo e conforme al latino, se ne avvantaggerebbe gran fatto la nostra lingua, cui fu meritamente dato il titolo di
« Idioma gentil sonante e puro ».

LA SECONDA EDIZIONE EBBE TITOLO:
Canti popolari raccolti in Napoli con varianti e confronti nei varii dialetti - Luigi Molinaro Del Chiaro
La dedica dell’autore a Benedetto Croce
NATI SPONTANEI SULLE RIVE DEL SEBETO,
E CRESCTUTI SENZA CURA DI GIARDINIERE
ALLE AURE IMBALSAMATE DI MERGELLINA,
QUESTI FIORI IO RACCOLSI
DALLE MODESTE AIUOLE DEL POPOLO.
COSÌ, COME SONO, LI OFFRO
A VOI, ILLUSTRE SENATORE BENEDETTO CROCE,
IN RICORDO
DELLA NOSTRA PIÙ CHE TRENTENNALE AMICIZIA
SEMPRE SINCERA ED INALTERATA.
ACCOGLIETELI CON LIETO VISO GELOSAMENTE,
PER ULTIMO CONFORTO DEL RACCOGLITORE,
GIÀ PROSSIMO AD ESSERE TRAVOLTO
DAI MAROSI DELLA VITA.

Chi è Benedetto Croce al quale questa è edizione è stata dedicata.

Fotografia di Mario Nunes Vais.
Fonte: Wikipedia.
Benedetto Croce (1866-1952) è stato un filosofo, storico, politico e scrittore italiano, considerato uno dei principali esponenti del liberalismo e del neoidealismo del Novecento.
La sua filosofia, definita "storicismo assoluto", si basa sull'idea che la realtà sia spirito e che la filosofia debba essere "pensiero storico", rifiutando ogni metafisica.
Croce ha influenzato profondamente la cultura italiana, opponendosi al positivismo e al materialismo storico di Marx, e sviluppando una dialettica dei distinti ispirata a Hegel.
Politicamente, Croce fu inizialmente vicino al fascismo, ma si distaccò dopo il delitto Matteotti, diventando una figura simbolica dell'antifascismo.
Scrisse il "Manifesto degli intellettuali antifascisti" e fu una voce critica tollerata dal regime. Dopo la caduta del fascismo, partecipò alla ricostituzione del Partito Liberale Italiano e fu deputato all'Assemblea Costituente, votando per la monarchia al referendum del 1946.
Croce elaborò una filosofia dello spirito articolata in quattro forme: estetica, logica, economia ed etica.
La sua estetica, basata sull'intuizione-espressione, influenzò la critica letteraria, mentre la sua logica storica si opponeva alle scienze matematiche e sperimentali, considerate strumenti pratici e non conoscenza vera.
La sua concezione della storia come "pensiero e azione" sottolinea il progresso e la libertà come principi fondamentali.
Nonostante il suo agnosticismo, Croce riconobbe il cristianesimo come fondamento della civiltà occidentale.
Fu critico verso il Concordato e i Patti Lateranensi, ma collaborò con la Democrazia Cristiana contro i totalitarismi. Morì nel 1952, lasciando un'eredità culturale e filosofica che ha influenzato il pensiero italiano ed europeo.
Le sue opere principali includono "Estetica come scienza dell'espressione", "Logica come scienza del concetto puro", "Teoria e storia della storiografia" e "La storia come pensiero e come azione".
Alla seconda edizione l’autore non presenta una “Prefazione” ma una introduzione che ripropone, nella sua gran parte, il contenuto della “Prefazione” della prima edizione.
Al posto di prefazione l’autore inserisce un testo che impegna sei pagine – da V a X – il cui titolo ha un titolo che corrisponde a una dedica genericamente inviata. Il testo si conclude poi, a pagina X con un ringraziamento.
Di questa “dedica” riporto le pagine V e VI e il testo del ringraziamento di pagina X.
Ai pochi cultori del folk-lore
Nel febbraio del 1870. con apposito manifesto, promisi un Saggio di canti popolari napoletani, da dar fuori appena raccolte tante firme da francare e le spese della stampa. Ed in vero dovetti con soddisfazione confessare, che non ci fu difetto di sottoscrittori, giacché, in men di un mese, ben 175 aderirono all'associazione. Assai di buon grado, così confortato, mi accinsi all'opera, quando circostanze imprevedute, benché non di lunga durata, mi fecero rimandare la pubblicazione a tempo migliore. Ed un simile pensiero non mi abbandonò mai e nell'animo mi restò vivo e costante l'amore per cosiffatti studii con la speranza di vedere, il più presto, compiuto il mio divisamento. E questo tempo venne finalmente. Nel 1880, la Dio mercè, messo da banda ogni altro disegno, e incoraggiato dalle gentili premure, che in ogni tempo mi venivano fatte dagli amatori del patrio dialetto e delle e cose nostre, mandai per le stampe alcune centinaia di Canti del popolo napoletano, già raccolte con ogni studio e diligenza. In sulle prime pensai d’intitolare la mia raccolta Canti popolari napoletani, ma poi, esaminando meglio le ragioni, e seguendo l'esempio del Dalmedico, del Bernoni, del Lizio-Bruno e di altri, e l'avviso del professore Giorgio Arcoleo (G. Arcoleo - Canti del popolo in Sicilia. Napoli, 1878.) mi determinai, senza più, a intitolarla: Canti del popolo napoletano. Tale titolo mi parve più esatto ad indicare quanto è esclusiva creazione del popolo: l'altro invece mi faceva ricordare di quei canti che, quantunque composti da uomini di lettere, per la loro spigliatezza e facilità ed altre ragioni, passando di bocca in bocca, sono divenuti patrimonio del volgo. Di tal natura, senza dubbio, sono: Lo Cardillo, Lo passariello, Lo Guarracino, Masto Rafele, Ciccuzza e tanti altri che, da più tempo e spesso, corrono per le labbra di tutti. Ma un simile titolo, se mi parve allora più opportuno, dopo maturo esame, mi è parso più logico sostituirlo con un altro ancora, e quindi ho intitolata la presente raccolta: Canti popolari raccolti in Napoli. E ciò anche in seguito al savio consiglio dell'illustre professore Vittorio Imbriani, il quale, mi disse, un giorno, che, non potendosi stabilire il luogo d'origine di ciascun canto, il miglior divisamento è quello di dire: raccolto in tale o tale altro paese, essendo risaputo, che lo stesso canto si ripete spesso in diversi paesi, con più o meno varianti e tinta del dialetto locale.
Nel raccogliere tali canti e nell'ordinarli alla meglio feci disegno altresì di corredarli di opportuni confronti con altri vernacoli e di alquante note dichiarative e storiche. Ma malgrado ogni buon volere, e, anche per difetto di tempo e di spazio son riuscite assai inferiori al bisogno, per cui ho via via deciso di tralasciarle del tutto, affidandomi all'acume ed alle conoscenze dell'intelligente lettore. Ogni studioso farà da sé quanto io non ho saputo né potuto. Offro il materiale grezzo: l’ingegnere, l'intendente poi edificherà l'edifizio, traendo le opportune conclusioni. Né ritengo compiere opera vana, potendo ripetere col Machiavelli: Scrivete i vostri costumi, se volete la vostra storia. […]

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Ringrazio tutte le persone che mi dettarono canti d'ogni genere, tra le quali meritano un particolare ricordo la carissima mia zia, ora defunta, signora Emmanuela Molinaro per la prima edizione, e signora Maria Michela Forcinelli, per la presente raccolta. Costei è stata. per me, una vera fonte inesauribile di canti antichi. Che lddio la conservi lungamente negli anni, sempre vegeta e portentosa nella sua ferrea memoria!
Non voglio omettere in ultimo, che attorno a questo volume ho speso le mie migliori energie; che ho raccolto con sincerità e con amore, e che da queste pagine esce integra e schietta l'anima popolare. E ciò, se non erro , in buon punto, quando maggiormente si è ridestata la psiche nazionale. Escluso ogni forestierume, tutti oggigiorno ci sentiamo più che mai schiettamente italiani. Ripigliando la nostra tradizione, auguriamo una grandezza vera ed imperitura alla patria nostra.
Napoli, 21 gennaio 1916,
Luigi Molinaro Del Chiaro
In questa seconda edizione l’autore inserisce integralmente la “Relazione” del Comm. Bartolomeo Capasso letta all’Accademia Pontaniana e l’estratto della deliberazione di quest’ultima; infine i giudizi della stampa alla prima edizione del volume: tutti tra il 1881 e il 1883; l’autore propone subito una lettera inviata da Nicolò Tommaseo.
La relazione del Comm. Bartolomeo Capasso letta all’Accademia Pontaniana nella tornata del 16 dicembre 1879.
Bartolomeo Capasso, incaricato dall'Accademia Pontaniana di valutare l'opera di Luigi Molinaro Del Chiaro, sottolinea l'importanza della raccolta dei canti popolari napoletani. Egli evidenzia che, mentre altre regioni italiane hanno prodotto numerose opere di poesia popolare, Napoli e le sue province sono rimaste indietro, nonostante la ricchezza culturale e musicale del territorio. Capasso elogia il lavoro di Molinaro, che ha raccolto circa duemila canti popolari, suddivisi in dieci categorie, tra cui ninne-nanne, giochi fanciulleschi, indovinelli, canti d'amore e canti storici-politici. La relazione conclude che l'opera merita lode e incoraggiamento, suggerendo al Ministero di concedere un sussidio per il completamento della pubblicazione.
Deliberazione dell'Accademia Pontaniana
L'Accademia Pontaniana, dopo aver ascoltato la relazione di Capasso, approva all'unanimità le sue conclusioni. Delibera di inviare la relazione al Ministero della Pubblica Istruzione, raccomandando un sussidio per sostenere Molinaro nella pubblicazione della sua opera. Successivamente, nel 1888, il Ministero, su proposta del deputato Pasquale Villari, assegna un premio di 300 lire a titolo di incoraggiamento.
Giudizi della stampa
La stampa esprime opinioni generalmente positive sull'opera di Molinaro. Ecco un riassunto dei principali giudizi:
- Niccolò Tommaseo: Consiglia di raccogliere i canti direttamente dalla campagna e dalla viva voce del popolo, evitando quelli troppo influenzati dalla città o dall'artificio letterario. Apprezza l'importanza delle tradizioni e delle costumanze locali.
- Giuseppe Pitrè: Considera il libro una preziosa contribuzione agli studi di folk-lore, lodando la semplicità e la schiettezza dei canti raccolti.
- Emmanuele Rocco: Elogia il lavoro di Molinaro per la sua dedizione e il senso di amore verso la poesia popolare, pur evidenziando alcune lacune nelle illustrazioni e nei confronti.
- Gaetano Amalfi: Riconosce l'importanza della raccolta, pur segnalando errori e mancanze che potrebbero essere migliorate in una futura edizione.
- Francesco d'Ovidio: Apprezza la precisione e la sincerità con cui i suoni napoletani sono trascritti, incoraggiando il pubblico a sostenere l'opera.
- Guglielmo Méry: Sottolinea l'interesse dell'opera per gli studi di letteratura comparata e la sua accuratezza.
- Salvatore Salomone-Marino: Ritiene la raccolta una ricca fonte di canti popolari di vario genere, utile per gli studi di poesia popolare.
- Salvatore Mormone: Critica la mancanza di supporto istituzionale per l'opera, evidenziando l'importanza del lavoro di Molinaro per la cultura italiana.
In sintesi, l'opera di Molinaro è considerata un contributo significativo agli studi di poesia popolare, nonostante alcune imperfezioni.
E concludo questo articolo inserendo l’ultima sezione.
Con questa, giusto prima dell’indice nel quale non è inserita, si conclude questa faticatissima seconda edizione dell’opera.
“AUTOCRITICA E COMMENTO”
Questo volume si cominciò a stampare nel dicembre 1914, ed è terminato il 10 settembre 1916, giorno per tanti anni a me carissimo ed ora oggetto di pungenti ricordi e strazianti.
Come ho accennato nella breve prefazione, esso non avrebbe visto la luce, senza la ressa affettuosa del mio carissimo Luigi Lubrano, cui non ho saputo resistere. Ed egli ha trovato modo, nel mio stato presente, di ravvivare l'amore attutito, ma non già spento per cosiffatti studii, che tanto amai negli anni della mia giovinezza, ed anche in quelli più maturi. Ripassandomi per le mani sì copioso e nuovo materiale, mi è sembrato di rivivere in altri tempi, e mi sono meravigliato di avere tanto accumulato, quasi senza più ricordarmene.
Ritornai con tutto l’ardore a questi studii; ma la mia buona volontà fu fiaccata da gravi sventure di famiglia. La perdita della mia adorata consorte, della mia buona Maria (“Il vero nome era Grazia Grande, ma in casa, per far piacere alla mia zia paterna Emmanuela, fu chiamata Maria, e così si festeggiò sempre l’onomastico”), che divise con me per ben 47 anni una vita di dolori e delusioni. E poi la morte del mio figliuolo Tommaso seguita a breve distanza, ed altri dolori chiusi nel mio cuore.
Mi manca la forza di sopravvivere, non mi avanza altro conforto! Ed in queste condizioni esce il mio libro. Perciò chiedo in grazia al lettore di non ricordarmi i difetti di questa Raccolta, che io sono primo a riconoscere. Sarebbero state indispensabili molte altre note ed illustrazioni, altre avrei dovuto sopprimere o variare.
Avrei dovuto aggiungere le melodie dei canti dei vignaiuoli; quelli che si cantano sul tamburo di basca in tempo di carnevale, quelli di altri mestieri, e, infine, quelli moltissimi e variatissimi di fronn’ ‘e limone. Io li aveva raccolto con l'aiuto di amici musicisti; ma tutte queste piccole carte musicali non le ho più rinvenute. Si saranno perdute o disperse? Non lo so!
Eppure malgrado questo, non avrei menato a termine questa stampa, senza le esortazioni e l'aiuto fraterno di un amico unico e carissimo, il quale, sebbene oppresso dalle sue cure incessanti e delle sue traversie, mi ha incoraggiato continuamente a persistere nel lavoro, alleviandomi, talvolta, in parte, anche le noie della correzione delle bozze tipografiche. E di tutto lo ringrazio col cuore più che a parole. Rendo pure grazie al tipografo signor Vincenzo Allella, che con grande abnega- zione di fratello e di amico , ha composto e compaginato diverse volte tutto il materiale.
Mi conforta, però, una sola cosa, ed è quella: di aver salvato, sia anche con opera imperfetta, da perdita sicura una gran copia di prodotti popolari, che certamente nella perenne evoluzione dell'uomo e delle cose, sarebbe andata perduta per sempre.
Umile operaio, ho raccolto le pietre disperse: ad altri il compito di lavorarle e creare l'edificio.
Ma tu non leggerai queste pagine, mia buona Maria, di cui avevi a mente gran parte, e sulle quali mi avevi visto tante volte affaticare i miei occhi stanchi, confortandomi con la tua bontà e col tuo mesto sorriso. Oggi, in cui ricorre la festa del tuo nome, io pongo fine al mio volume, forse ultimo lavoro, ed esce al pubblico. Ma tu non ci sei , la mia casa è muta per sempre ed anche io sento di entrara nel regno delle ombre e della morte !
Napoli, 10 settembre 1916.
